Contatore accessi gratis Recensione: La felicità è un sistema complesso di Gianni Zanasi

Recensione: La felicità è un sistema complesso di Gianni Zanasi

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Commedia dai toni dolce-amari che soffoca le pretese di un’ingenuità tipicamente italiana, che spesso si risolve in opere prive di spessore, relegate in dimensioni così familiari da non uscire dalle mura domestiche.

Questa volta il nodo centrale della storia è l’integrità.

L’integrità di Enrico Giusti (Valerio Mastandrea), mediatore finanziario che convince imprenditori, spesso incapaci e inaffidabili, a firmare la rinuncia alla direzione delle proprie aziende destinate altrimenti al fallimento. L’integrità dei suoi datori di lavoro; l’integrità di suo padre, l’integrità del mondo economico finanziario di cui fa parte; l’integrità di suo fratello; l’integrità dei suoi colleghi.

E l’integrità di Enrico, la cui mistificazione è da imputare all’abbandono del padre (piccolo imprenditore fuggito anni addietro per sfuggire a guai con la legge), è soggettiva e intimamente connessa con la sua indole genuinamente generosa.

La presa di coscienza del retaggio che ha lasciato su di lui l’abbandono del padre avviene solo grazie all’incontro con  una ragazza israeliana dalla personalità complessa ma dai sentimenti puri, seppure sommessi; e con due giovani adolescenti, rimasti improvvisamente orfani di entrambi i genitori e catapultati  subitaneamente alla guida dell’azienda familiare.

Il film intende assurgere a un fine idealista, in cui l’emotività “da due camere e cucina” lascia spazio a un tentativo di universalizzare il sentimento che abita il protagonista. E il tentativo, seppure apprezzabile, riesce a metà.

Il regista cerca di suggerire un’emozione allo spettatore che invece resta intrappolato in una formalità di dialoghi e riprese che mantengono il suo coinvolgimento inevitabilmente anodino. Nonostante la recitazione gentile e mai forzata di Mastandrea, rappresenti la maggiore prova delle buone intenzioni del film, l’apogeo della sensibilità non arriva a toccare le corde che la regia si era presumibilmente preposta, mantenendo la sensibilizzazione degli spettatori distaccata, seppur riuscendo a fornire uno sguardo registico maturo e lungimirante.

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