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L’arbitro – Recensione del film

l'arbitro recensioneAndiamo al cinema, mio marito ed io, nel mentre che divoriamo pop corn le luci si abbassano e parte un trailer che sino all’ultimo pare uno spot di una birra sarda (sono parecchio fantasiosi).

Viene  fuori invece che si tratta del film L’Arbitro di Paolo Zucca ambientato in Sardegna (tranquilli ci sono i sottotitoli). Mio marito ne rimane intrigato e si dice che è il prossimo film che vedremo, a me il cinema m’intriga comunque perciò L’arbitro sia.

In sostanza la storia ruota attorno alla rivalità calcistica di due squadre, l’Atletico Pabarile ed il Montecrastu, ed all’ascesa professionale dell’arbitro Cruciani (un Accorsi in ottima forma e molto espressivo).

Dunque il Montecrastu è guidato da Brai (Alessio di Clemente) un presuntuoso datore di lavoro che tiene in pugno i dipendenti che guarda caso giocano nel Pabarile (tu chiamalo se vuoi “mobbing”) guidato da l’allenatore cieco Prospero (un Benito Urgu non al meglio delle sue possibilità). Come se non bastasse a condire il tutto troviamo faide familiari a dir poco cruente.

Il Pabarile sembra destinato all’eterna sconfitta almeno fino al ritorno in paese del giovane emigrato Matzutzi (Jacopo Cullin) che fa breccia nella porta avversaria e nel cuore della reticente Miranda (una Geppi Cucciari strepitosa) figlia di Prospero.

L’arbitro Crucciani? Integerrimo, professionale, cristianissimo finalmente ha la sua opportunità di arrivare ad arbitrare una finale europea, ma prima dovrà superare la prova del fuoco: la tentazione. Crucciani non resiste, morde la mela (Eva docet) e viene cacciato fuori dal paradiso.

La svolta per il Pabarile non arriva mai grazie anche ad arbitri comprati (un certo Mureno che ci ricorda qualcosa) e partite truccate ma riusciranno ugualmente ad avere la loro rivalsa. Con sorpresa (neanche poi tanto) finale.

Ho trovato L’arbitro un film gradevole, decisamente simpatico, in cui l’ingrediente principale sembra essere la tenacia di cui sardi sono ben provvisti, oltre alle manfrine che si celano dietro lo sport più amato dagli italiani. Ottime le musiche, ottima l’idea del bianco e nero che gli da un tocco di nostalgico, di calcio alla vecchia maniera. Su dieci direi che il mio voto sarebbe un sette pieno.

Si accendono le luci, tutti stanno ridendo e la signora accanto a me esclama “Che schifo”. De gustibus.

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