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Dream House – La recensione

In uscita nelle sale italiane venerdì 3 agosto 2012, “Dream House” del regista sei volte candidato al premio oscar Jim Sheridan, rivelatosi uno dei più incredibili flop dell’anno; non si capisce come mai infatti un film con un cast eccezionale con attori del calibro di  Naomi Watts, Daniel Craig e Rachel Weisz, diretto da un regista di tutto rispetto, con alle spalle una casa di produzione come la Universal, che ha messo a disposizione ben 50 milioni di dollari di budget, al botteghino abbia racimolato solo 38 milioni di dollari in tutto il mondo. Vediamo innanzi tutto la trama nei dettagli. Will Atenton (Daniel Craig) è un editore di successo, che stanco e stressato dalla vita frenetica di città, decide di trasferirsi in una deliziosa casetta alla periferia di New York, per passare più tempo con la moglie  Libby (Rachel Weistz) e le sue due adorate bambine Dee Dee e Trish. Ben presto la casa dei sogni comincia a non essere più tale e strane apparizioni di uomini inquietano non poco la famiglia che si è appena trasferita; fin dai primissimi giorni, infatti uno strano uomo si aggira nei paraggi della casa, che Will, nonostante si sforzi, non riesce ad identificare. La scoperta poi che la casa in passato è stata teatro dell’omicidio di un’intera famiglia, non fa che peggiorare le cose; 5 anni prima l’ex-proprietario, un certo Peter Ward, una notte, in preda ad un raptus,  ha ucciso a colpi di pistola la moglie e le sue due bambine ed è stato successivamente  rinchiuso in un istituto psichiatrico.

Will, in seguito, scoprirà che l’uomo è ancora vivo e deciderà di saperne di più su di lui e sugli eventi di quella tragica notte, ma verrà a conoscenza di cose che fino a quel momento aveva rimosso dalla memoria e la situazione peggiorerà progressivamente. Purtroppo “Dream House” è l’esempio di come un film, che sulla carta sembrava avere grosse potenzialità, possa essere rovinato da discussioni produttive; pare che il regista Jim Sheridan, che ricordiamo per i bellissimi “Il mio piede sinistro” e “In the Name of the Father”, ad agosto 2011 avesse addirittura chiesto alla Directors Guild of America, sindacato che rappresenta i registi cinematografici e televisivi statunitensi, di cancellare il suo nome dai crediti del film. Questo per una serie di riprese aggiunte non autorizzate da lui, per una sorta di improvvisazione sul set per criticare la sceneggiatura di David Loucka e per il totale controllo della produzione, che in fase di montaggio ha completamente stravolto le idee del regista. Jim Sheridan ha perso la battaglia e il suo nome compare fra i crediti del film, ma non ha partecipato alla promozione, non andando alle anteprime e evitando di rilasciare qualsiasi intervista; un evento più unico che raro, che viene giustificato dalla visione della pellicola che appare quasi disarmante nella costruzione, fino a rasentare la totale incapacità di organizzazione.

L’inizio del film è sicuramente in grande stile,  con la tipica famiglia americana di ceto medio alto e con la sensazione che tutto questo paradiso durerà ancora per poco, ma viene massacrato dagli ultimi 45 minuti, veramente inguardabili; la tensione del thriller c’è e la trama incuriosisce, anche se poco originale, ma il colpo di scena appare davvero troppo presto, a circa a metà film e da quel momento in poi in film non offre più nulla per cui vale la pena guardarlo. Non è assolutamente colpa degli attori, che anzi ci mettono il meglio di sè, e le loro interpretazioni, senza essere strabilianti, sono ad un livello superiore alla norma, ma la sceneggiatura è tutta sotto sopra, il risultato assolutamente disastroso e il tutto diventa un minestrone pieno di  generi diversi come il thriller, il dramma familiare e le atmosfere paranormali, messo giù in modo sconclusionato e freddo. Gli ultimi 30 minuti poi rasentano l’assurdo, tra cose non dette, scene che non hanno motivo di esistere, situazioni paradossali e un finale tirato via in maniera sbrigativa. Non solo il regista, ma anche Naomi Watts, Daniel Craig e Rachel Weisz hanno saggiamente evitato di parlare del film se non obbligati; una pellicola disconosciuta e bocciata dallo stesso regista, mal sopportato dagli attori e giustamente  naufragato in sala. Assolutamente da “perdere”.

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