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Recensione ‘Parthenope’: Paolo Sorrentino regala un banchetto troppo ricco per essere digerito

Recensione Parthenope: L'Ode Visiva di Paolo Sorrentino a Napoli che Rischia di Perdersi.

Parthenope, il secondo film di Paolo Sorrentino dedicato alla sua amata città natale, Napoli, ci offre uno spettacolo visivo impressionante, ma rischia di perdere la sua forza narrativa nell’eccesso di stile e nella caratterizzazione poco definita della protagonista.

Recensione Parthenope: L’Ode Visiva di Paolo Sorrentino a Napoli che Rischia di Perdersi

Sorrentino, noto per la sua capacità di creare immagini cinematografiche straordinarie, ci regala un film ricco di scene spettacolari e composizioni sontuose. Tuttavia, la protagonista eponima, Parthenope, diventa sempre più distante e difficile da comprendere man mano che la storia procede. A differenza del personaggio enigmatico ma coinvolgente di Toni Servillo ne La Grande Bellezza, Parthenope non riesce a mantenere lo stesso livello di connessione emotiva con il pubblico.

Un Inizio Promettente

Il film inizia con una scena intrigante: un letto a baldacchino dorato, presumibilmente proveniente da Versailles, viene trasportato attraverso il Golfo di Napoli nel 1950. Questo regalo di un potente magnate locale a una giovane coppia, Sasa’ (Lorenzo Gleijeses) e Maggie (Silvia Degrandi), segna la nascita di Parthenope. La storia salta poi al 1968, mostrando una giovane Parthenope (Celeste Dalla Porta) amata dal figlio della cameriera, Sandrino (Dario Aita), e dal fratello maggiore, Raimondo (Daniele Rienzo).

Un’Intensità Che Si Perde

Nonostante l’inizio promettente e le numerose scene memorabili, il film perde la sua concentrazione quando si immerge troppo in intermezzi visivi e dialoghi filosofici. Parthenope esplora brevemente l’idea di una carriera nel cinema e viene coinvolta in varie situazioni, tra cui una conversazione con lo scrittore John Cheever (interpretato da Gary Oldman), che però non aggiungono profondità al suo personaggio.

La Critica e l’Eccesso

Il gusto di Sorrentino per le immagini stravaganti e il suo stile opulento portano il regista a indulgere nei suoi peggiori istinti, trasformando il film in una sorta di omaggio a Fellini. La narrazione si perde in una serie di episodi scollegati, e la protagonista finisce per sembrare una figura eterea e inconsistente, piuttosto che un personaggio reale e tangibile.

Un Finale Risonante

Il film si conclude con una nota di risonanza emotiva quando l’eterna Stefania Sandrelli interpreta una Parthenope settantenne, di ritorno a Napoli dopo una lunga assenza. La scena finale, in cui Sandrelli riscopre la gioia e l’incanto guardando un camion carico di tifosi di calcio festeggianti, restituisce in un solo istante l’interiorità emotiva che era stata strappata al personaggio per tutta la durata del film.

Conclusioni

Parthenope è un film visivamente straordinario, ma che rischia di perdersi nella sua stessa ambizione. La ricchezza delle immagini e la qualità artigianale non bastano a compensare una narrazione che, a tratti, sembra vuota e priva di coesione. Nonostante tutto, Sorrentino riesce a offrire momenti di pura bellezza e intensità che confermano il suo talento unico nel panorama cinematografico contemporaneo.

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