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Stanford Prison Experiment – Recensione dal Sundance Film Festival

stanford-university-experiment-sundanceCi troviamo nell’Università di Stanford, ma lo scenario che ci si presenta non è propriamente quello di uno scantinato universitario, ma più precisamente quello di una prigione. L’estate del 1971, mentre il campus è quasi tutto vuoto, alcuni studenti (più uomini che donne) vengono invitati a prendere parte ad un esperimento sociale. Ideatore è il dottor. Philippe Zimbardo, psicologo di Yale, che insieme a un gruppo di collaboratori decide di compiere un esperimento per dimostrare il comportamento umano in una società in cui gli individui sono definiti per gruppo di appartenenza, e sottolineando come questi, facenti parte di un gruppo, tendano ad avere comportamenti antisociali, perdita di responsabilità e di identità personale (deindividuazione). Le azioni dei componenti sono viste dagli stessi come azioni compiuto dal gruppo, tutto questo a causa di un mancata consapevolezza di sé. A reinscenare il tutto è Kyle Patrick Alvarez, che presenta al Sundance Film Festival una pellicola capace di far crescere le emozioni durante il corso del film, per poi farle esplodere. L’inizio fra risatine e clima più o meno disteso è solo il preludio per quello che sarà poi un gioco psicologico e di riconoscimenti, fra lo spettatore e i personaggi stessi. Il regista è bravo infatti a mostrare i cambiamenti delle guardie e dei carcerati, mentre piano piano (ma neanche troppo) scivolano nei rispettivi ruoli, aiutati dall’ambiente, da manganelli e grandi occhiali da sole (per le guardie), e divise identiche numerate con tanto di catena (per i carcerati). Il film dopo aver mostrato le reazione e le interazioni fra questi due gruppi, si chiude con la frase : “Secondo giorno” che lampeggia sullo schermo, calando cosi un velo di ironia (sempre buona per la riflessione). Nella realtà l’esperimento che doveva durare due settimane è stato chiuso solamente dopo sei giorni a causa delle violenze da parte delle guardie e dei problemi emotivi manifestati dai prigionieri.

Il dottor Zimbardo, nel 2004, è stato chiamato come perito della Difesa statunitense per le sevizie subite da prigionieri iracheni nella prigione di Abu Ghraib, con il compito di trovare attenuanti per i militari accusati delle stesse.

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