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Oculus: Il riflesso del male – Recensione

Oculus: Il riflesso del male - RecensioneLa Blumhouse Productions è una casa di produzione americana specializzata nella realizzazione di film di genere a basso budget e che negli ultimi anni ha dato nuova linfa al cinema horror con film come “Sinister” di Scott Derrickson (il cui “Deliver Us from Evil” arriverà nelle sale il 2 luglio) e la saga di “Paranormal Activity”, dimostrandosi spesso aperta ad accogliere giovani talenti con idee.

In collaborazione con i WWE Studios e la Intrepid Pictures, la nuova fatica degli studios è “Oculus – Il riflesso del male”, co-sceneggiato da Jeff Howard e Mike Flanagan, regista del film e ideatore del cortometraggio da cui è tratta la pellicola.

Il film è distribuito in Italia dalla M2 Pictures, che si è guadagnata negli ultimi anni il titolo di portabandiera dell’horror nel nostro Paese. Dal 2011, anno della sua fondazione, la casa di distribuzione ha portato nei nostri cinema più di trenta film, con una particolare attenzione per il cinema dell’orrore, puntando spesso su autori emergenti, addirittura alle prese con la loro opera prima.

“ATM – Trappola Mortale” di David Brooks, “Quella casa nel bosco” di Drew Goddard e “The Possession” di Ole Bornedal, sono solo alcuni degli esempi che dimostrano la volontà di questa casa di restituire nuova auge a un cinema di genere che nel nostro Paese non vede spesso la luce, nonostante abbia conservato negli spettatori uno zoccolo duro di affezionati, desiderosi soprattutto di vedere film immersi nel buio delle sale.

Grazie a loro, MisterMovie ha potuto assistere in anteprima mondiale, in quel di Romics 2014, all’insolito horror di Flanagan.

La storia è quella di Tim e Kaylie Russell, fratello e sorella, rispettivamente interpretati da Brenton Thwaites (presto sugli schermi con il disneyano “Maleficent”, al fianco di Angelina Jolie) e Karen Gillan (nota ai fan di “Doctor Who” per aver vestito i panni di Amy Pond e interprete dell’atteso “Guardians of the Galaxy” nel ruolo di Nebula).

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Il film si apre con l’uscita di Tim dall’ospedale psichiatrico dove era stato rinchiuso per aver ucciso il padre (Rory Cochrane, visto nel 2012 in “Argo” di Ben Affleck) quando era ancora un bambino, dopo aver assistito, assieme alla sorella, all’uccisione della madre (Katee Sackhoff, la Kara “Scorpion” Thrace della serie TV “Battlestar Galactica”) da parte del genitore, ma soprattutto perché convinto che gli strani eventi e la follia omicida del padre fossero stati causati dallo specchio presente in casa loro. Scarcerato, ritenuto guarito, Tim si ricongiunge con la sorella, deciso a lasciarsi alle spalle il passato e accettando che suo padre fosse in realtà un uomo malato; Kaylie non è però della stessa opinione e, dopo tanti anni, è ancora decisa a riscattare il nome della propria famiglia, dimostrando l’oscuro potere sovrannaturale dello specchio.

La pellicola si distingue dagli horror più recenti per l’atmosfera e soprattutto per il metodo narrativo. Le vicende vengono infatti presentate con un continuo alternarsi di presente e passato, attraverso un sapiente lavoro di montaggio da parte dello stesso Flanagan; alla base del lungometraggio vi è un continuo oscillare tra realtà e finzione, con uno sbalzo sempre più netto da un piano temporale all’altro.

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L’obiettivo del regista è proprio quello di gettare lo spettatore nel dubbio, quasi ipnotizzandolo (parlando di “oscillazione”, la prima volta che vediamo Kaylie adulta, la seguiamo mentre cammina spalle alla macchina da presa, con la coda di cavallo dei capelli dondolante, proprio come se si stesse cercando di far cadere in trance il pubblico). Quando i due fratelli si ritroveranno faccia a faccia con lo specchio, la prova più dura sarà riuscire a discernere la verità dall’illusione, ma lo stesso accade a chi guarda il film ed è l’elemento che più contraddistingue il lavoro di Flanagan. Tim rappresenta lo spettatore, simbolo della razionalità, che, reduce da una rieducazione mentale, cerca di spiegare tutto tramite la logica, fin quando ciò gli è possibile; la volontà della sorella di riscattare il nome della famiglia è invece forte al punto da non avere esitazioni nel sostenere l’esistenza di uno specchio satanico, convinta che ciò in cui crede non può che essere la verità. Questa dualità, oggetto spesso di stravolgimento, destabilizza ancor di più le poche certezze iniziali e il mostrare gli eventi presenti facendo continue deviazioni nel passato, per far luce su cosa successe ai due fratelli da piccoli, rendendo il passaggio tra le due sequenze sempre meno percepibile, aumenta la presa sullo spettatore e allo stesso tempo salva il film dalla trappola per cui raccontare una storia tra presente e passato, rende spesso gli eventi antecedenti noiosi, sapendo già come andrà a finire. I due livelli di narrazione si mantengono bilanciati e nessuno dei due finisce per sovrastare particolarmente l’altro.

Aprendo un discorso sull’antagonista, lo specchio è una scelta molto interessante ed è singolare il fatto che non ci siano mostri o creature da combattere o da cui fuggire; il diabolico ornamento gioca con la mente delle sue vittime, facendogli rivivere i propri demoni e annebbiandone la lucidità, rendendole i veri nemici da temere. Tutto ciò contribuisce a creare in chi guarda uno stato di ansia, evidenziando il carattere psicologico del film, i cui “jump scare” si contano sulle dita di una mano e che punta a riempire di tensione lo spettatore, immergendolo in uno stato di insicurezza.

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Tuttavia, questo meccanismo funziona prevalentemente nella prima parte della pellicola, perdendo di mordente nella seconda metà; le sequenze in cui realtà e finzione si mescolano durano infatti pochi minuti alla fine dei quali la situazione ritorna alla normalità e capiamo cosa sia vero e cosa non lo sia. Il meccanismo risulta dunque presto prevedibile e a lungo andare l’ansia si tramuta in noia e, sebbene il ritmo tenda a salire, l’inquietudine per ciò che minaccia i personaggi va man mano spegnendosi.

Complici di questo tracollo sono proprio alcune scelte narrative riguardanti le iniziative dei protagonisti, che per quanto indispensabili per trainare la storia, risultano cozzare con le normali reazioni umane che avrebbe praticamente chiunque si trovasse in una situazione del genere e ci si domanda se effettivamente la storia non sarebbe potuta finire in una maniera più rapida, semplice e soprattutto più logica (ingenuità evitabile, data l’apparente intenzione iniziale di voler giustificare saldamente la sospensione dell’incredulità). La stessa conclusione, in cui la commistione di presente e passato raggiunge il picco più alto, dovrebbe destabilizzare lo spettatore, che invece, ormai consapevole degli schemi interni del film, rimane meno turbato di quanto ci si aspetterebbe.

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L’opera di Flanagan si rivela dunque un buon prodotto d’intrattenimento dalle grandi potenzialità, alcune delle quali tuttavia mancate. Punta di diamante il montaggio con i continui scavalcamenti temporali e la scelta di designare come antagonista un’entità che colpisce indirettamente alterando la mente dei protagonisti (e dello spettatore); da sottolineare anche le performance degli attori, in particolare dei giovanissimi Annalise BassoGarrett Ryan (già visto in un’altra produzione Blumhouse“Insidious 2”), interpreti dei due fratelli da bambini. Il film è da considerarsi perciò un esperimento riuscito in parte, con ottimi spunti, che almeno per una buona metà di film è capace di lasciare un senso di disagio.  Alcune sviste rendono però il risultato finale meno apprezzabile di quanto le aspettative potessero annunciare e questo lascia un po’ di disappunto, poiché un’attenzione maggiore alla sceneggiatura avrebbe potuto risolvere la faccenda e consegnarci una pellicola dell’orrore capace di inquietare per tutta la sua durata, facendoci lasciare la sala ancora in preda all’angoscia.

Il lavoro, nelle sale italiane a partire dal 10 aprile, va comunque apprezzato per la sua idea di base, che dimostra che ancora esistono autori con idee nuove, desiderosi di sperimentare nel vario campo dell’horror. Gli amanti del genere possono dunque cimentarsi nella visione, sicuri che, anche se non ne rimarranno completamente agghiacciati,  si troveranno di fronte un prodotto inconsueto nel panorama dell’orrore.

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