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Boyhood Recensione

Boyhood – Recensione

Boyhood recensione richard linklaterVOTO MISTER MOVIE: [star rating=4.5]

“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.

Se vi sentite in sintonia con il pensiero di Marcel Proust, siete pronti per immergervi in Boyhood, un vero e proprio esperimento cinematografico che fa della sua disarmante semplicità la più grande innovazione.

Boyhood è il frutto del progetto insidioso e affascinante di Richard Linklater che, affidandosi alla fedeltà e al talento dei suoi attori, ha deciso di raccontare gli anni centrali della crescita del protagonista nel più fedele dei modi: osservandolo crescere. il risultato è stato ottenuto organizzando un ciclo di riprese ogni anno per dodici anni e limitando l’intervento della regia a una sorta di “birdwatching”, mirato a cogliere la bellezza dei dettagli, lasciando nelle mani dello spettatore la facoltà di attribuire significati a ciò che vede.

Mason (Ellar Coltrane) ha otto anni ed è figlio di genitori divorziati (Patricia Arquette ed Ethan Hawke); la sua vita scorre fra le piccole scaramucce con la dispettosa sorellina Samantha (Lorelei Linklater), di poco più grande, e la magica scoperta del mondo.

Animo poetico e sguardo un po’ rassegnato a farsi carico di una vita non proprio facile, il protagonista impara gradualmente, sullo sfondo dei fallimenti di una madre ancora alla ricerca del lavoro e dell’uomo ideale, che nella vita è necessario sapere ciò che si vuole o perlomeno provare a conquistarlo, pena ritrovarsi con un sacco di rimpianti.

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Boyhood, la crescita del protagonista

In Boyhood la struttura prende completamente il sopravvento sulla trama, offrendoci episodi ordinari di vita ordinaria in cui non è necessario che accada qualcosa di “grosso” per dare un senso alle cose; lo sguardo dello spettatore è abbondantemente rapito dall’incantesimo di vite che crescono e invecchiano, portando nella trasformazione dei loro corpi il peso di aspettative disattese e il segno dei piccoli grandi momenti di felicità che – per fortuna – nonostante tutto la vita offre.

Tutto quello che di importante succede riguarda le trasformazioni interne dei personaggi, ponendo l’accento su come una parola possa rivoluzionare l’esistenza o lasciare il segno a distanza di anni.

I dialoghi, lenti e cadenzati, lasciano spazio al sottotesto, rendendosi importanti più perché ci svelano l’intensità del rapporto fra interlocutori che per i loro contenuti; tuttavia, Linklater  butta qua e là qualche frase importante, allo scopo di compensare la mancanza di una vera e propria trama con spunti riflessivi che aiutano lo spettatore a raccapezzarsi in questo vortice di episodi, spingendolo periodicamente a fare il punto della situazione.

A sostegno della scoperta del mondo interiore di Mason, i bellissimi dialoghi con l’immaturo ma divertentissimo papà che, fra discorsi sulla magia e osservazioni – a volte amare – sulla vita, impara a crescere insieme ai suoi ragazzi, diventando fuori tempo massimo l’uomo che la madre dei suoi figli sta ancora cercando… (Qui Ethan Hawke quasi ci commuove per quanto ricorda il buon vecchio Zio Joe alias Chris Cooper del Paradiso Perduto di Alfonso Cuarón, film in cui lui interpretava il protagonista Finn).

Il momento storico in cui si svolgono le vicende è perfettamente in sintonia con le incertezze del protagonista: siamo nel post-attentato dell’11 settembre e smarrimento, paura e confusione caratterizzano la vita delle persone, influenzando – come forse non ci siamo resi abbastanza conto – la vita e le scelte di tutti.

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Boyhood, una scena del film

Fra i successi dei Coldplay e di Lady Gaga, attraversando la febbre di Harry Potter e il fenomeno della Twilight Saga, Mason approda, ormai maggiorenne, nell’era dei social network, interrogandosi sulla positività o meno di questo nuovo mezzo di comunicazione che di fatto inibisce il dialogo fra persone reali.

Il nostro ragazzo diventa ben presto ventenne e si prepara ad affrontare il college e il mondo degli adulti, non prima di lasciarci con l’ennesima domanda sul senso di quanto si vive: ancora una volta, la risposta disillusa arriva dal dialogo con il papà che, quasi a ricordarci – se ancora ce ne fosse bisogno – che questo film non è nato per dare lezioni di vita, ci lascerà con la più semplice e meravigliosa delle risposte.

Boyhood è un film che non può non essere visto perché, senza facili moralismi, racchiude in sé il senso e la magia del nostro passaggio sulla Terra, con un unico suggerimento:  per quanto nella vita ci si affanni a cogliere l’attimo, a volte bisognerebbe avere il coraggio e la pazienza di aspettare che l’attimo colga noi.

Boyhood è in questi giorni nei nostri cinema, distribuito da Universal Pictures.

Articolo di Virginia Campione

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