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Nessuno si salva da solo, incontro con Sergio Castellitto e il cast

Castellitto.inizialeIl regista Sergio Castellitto e i due protagonisti della pellicola, Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca, hanno presentato alla stampa la loro ultima fatica: Nessuno si salva da solo. Il film è basato sull’omonimo libro di Margaret Mazzantini, moglie del regista. Terzo romanzo portato al cinema da Castellitto, dopo Non ti muovere e Venuto al mondo, la storia parla di una coppia scoppiata: Delia e Gaetano si sono amati, hanno costruito una famiglia e poi si sono distrutti e lasciati. I due s’incontrano per una cena in un ristorante, per discutere dell’organizzazione delle vacanze dei loro figli, ma poi…

Com’è nata l’idea di questo film?

Sergio Castellitto: Questo è un film a cui ho pensato in maniera abbastanza sorgiva, senza troppi pensieri, poco più di un anno fa. Margaret Mazzantini aveva scritto il libro oramai quattro o cinque anni fa e non avevamo mai pensato di farci un film. Poi, casualmente, più di un anno fa ho aperto il libro, ogni tanto rileggo i libri di Margaret come si fa con la Bibbia, e ho letto una pagina a caso dove c’era scritto: “L’errore era stato quello di pensare di trovare tutto in una persona.”

E questa frase, a distanza di anni, mi ha colpito e ho cominciato a lavorarci intorno. Parlando con Margaret abbiamo immaginato la possibilità di farci un film. Ci siamo accorti che il libro aveva una contemporaneità, più che una modernità. È un libro contemporaneo a noi, così come contemporanea a quei due signori anziani in quel ristorante è la cena che Delia e Gaetano fanno insieme. Devo dire che è stato tutto abbastanza improvviso.

Anche la sceneggiatura di Margaret, forse è la prima sceneggiatura che lei scrive ignorando in un certo senso il libro. Ovviamente la matrice è quella, ma c’è molta libertà.

Poi ho pensato immediatamente, essendoci dentro come ho detto prima una forte contemporaneità, ho cercato due attori profondamente contemporanei, cioè viventi dentro la loro vita, dentro la loro creatività, dentro la loro aspirazione e così via. E ho pensato naturalmente a Riccardo e Jasmine. E poi il film di conseguenza si è nutrito delle emozioni che io ho tentato di suggerire a loro, ma anche delle emozioni che loro hanno suggerito l’uno all’altra, in ogni momento del film e in ogni scena.

Ma non solo nelle scene difficili da recitare, quelle forti o le scene di sesso, ma quelle dove invece bisognava svelare i segreti dei propri pensieri e delle proprie emozioni.

Nella parte finale c’è un livello altamente poetico. La scelta di usare Roberto Vecchioni è una scelta meditata, essendo lui uno degli ultimi poeti cantautori italiani?

Sergio Castellitto: Certo, è una scelta meditata. Avrei potuto scegliere grandi attori italiani che avrebbero fatto con straordinaria pertinenza sindacale quel personaggio. Roberto ha però una cosa che hanno i grandi artisti che non sono attori, cioè il panico. Ha paura, e quando hai paura è un buon segno quando reciti, perché sicuramente la cosa che metti in scena non è il primo stereotipo che ti viene in mente. C’era un grande regista che diceva: “Fatevi venire in mente almeno la seconda idea, perché la prima è già venuta a qualcun altro”.

Però nel film ci sono altri poeti, altre voci, io sono molto fiero della mia colonna sonora, e anche i miei produttori lo sono (ridono), ci sono Tom Waits, Leonard Cohen, Minghi, Lucio Dalla.

Durante la visione del film andiamo incontro a diverse ripetizioni, che alla lunga forse possono stancare. Questo dare incisività a scene ripetute, anche coi dialoghi, serve a evidenziare questo doppio polo che si è creato tra moglie e marito?

Sergio Castellitto: Il film ha la pretesa di essere costruito come si fa con le canzoni. Nelle canzoni ci sono i ritornelli, e il ritornello sembra sempre lo stesso, ma se ascolti bene nelle migliori canzoni è cantato sempre in un altro modo, magari con un crescendo o con un diminuendo. Il ritornello di questa canzone è il ristorante, e poi c’è lo sviluppo della canzone che è questa straordinaria storia d’amore, di questi due ragazzi matti l’uno dell’altro che poi si accorgono di non amarsi più. E poi ogni tanto ritorniamo al ritornello, il ristorante, e lo ricantiamo. Quindi la struttura è questa, può essere ripetitivo nella misura in cui ogni canzone può essere ripetitiva, l’importante è che ogni volta al ritornello si aggiunga qualcosa in più, ed è quello che è stato fatto.

Jasmine Trinca: Abbiamo girato il film in sette settimane. Nelle prime sei settimane abbiamo girato tutta la parte del passato, quello della vita vissuta, che potremmo definire il flashback della loro storia. Ecco, io dopo sei settimane ho avuto la sensazione di aver terminato il film. Cioè quello che noi abbiamo raccontato col passato e con l’amore bruciante e anche la crisi, era finito. Ecco che siamo entrati nel ristorante. E Sergio essendo lo stesso regista con la stessa sensibilità gira un altro film per me. In cinque giorni ci chiede tra l’altro una cosa anche magnifica, di libertà, perché alla fine era teatro, quello che abbiamo fatto. In cinque giorni abbiamo girato tutta la parte legata al ristorante, il dialogo, la fermezza di due personaggi che sono altro da quello che avete visto all’inizio. Quindi per me la parte al ristorante è un secondo film, questo viaggio per me da spettatrice, onirico, con Vecchioni e Molina è ancora un altro film. A me questa cosa vedendo il film mi ha colpita molto, eppure il film l’ho studiato, l’ho letto, l’abbiamo girato insieme. Eppure era sorprendente. Differente nel registro, ma sempre con questa capacità di toccare un sentimento.

È interessante la contemporaneità della crisi di coppia che poi si supera. Una novità rispetto al passato. Come l’avete vissuto?

Sergio Castellitto: L’amore ai tempi della crisi. La crisi economica ha spappolato l’economia, ha distrutto aziende, ma ha fatto anche venire meno voglia di fare l’amore. Le coppie si separano, la gente è angosciata, per cui, rischiando di farmi ridere dietro, posso dire che questo è anche un film politico. Non c’è niente di più interessante e più politico della nostra intimità. Di come oramai la società mette in gioco qualcosa che è molto intimo e personale.

Nel film ci sono diversi primi piani intensi sui due protagonisti, che trasmettono pienamente l’intensità dei sentimenti. Tecnicamente come vi siete preparati?

Riccardo Scamarcio: Personalmente, un elemento che ha giocato un ruolo fondamentale è stato il fatto di aver trovato una grande empatia e una affinità profonda tra me e Jasmine. Noi ci conosciamo nella vita, siamo amici da molto tempo, abbiamo già lavorato insieme e sicuramente tutto questo ha contribuito. Abbiamo un modo molto simile di vedere le cose e anche di approcciarci al lavoro che facciamo. Una grande capacità di ascolto, anzi più che di ascoltare direi di sentire l’altro. E poi, per esempio, ci sono delle scene molto difficili, le scene che abbiamo girato nel ristorante, lì abbiamo provato un metodo diverso, perché avevamo molte scene e moltissimi dialoghi serrati, precisi, erano quasi quaranta pagine di copione. Quindi abbiamo fatto un lavoro di preparazione delle parole, prima di andare in scena, non solo di memoria ma proprio di analisi dei movimenti all’interno dei dialoghi. E anche la possibilità di poterci accavallare, di essere liberi e padroni delle parole. E poi ad un certo punto, e questa è la cosa in più che non sempre c’è, siamo riusciti a trascendere la scena, secondo me.

Guardando il film, nella parte dedicata alla crisi più profonda della coppia, si avverte un sentimento di vera e propria angoscia. Quanto questo vi ha influenzato nel vostro vissuto, come tornavate a casa la sera dopo aver girato queste scene?

Riccardo Scamarcio: È una bella domanda, perché in effetti non è stato proprio piacevole, io mi sono accorto che tornando a casa, il mio stato d’animo e il mio modo di parlare erano destabilizzati. Anche perché per interpretare questi personaggi noi abbiamo dovuto andare a pescare nelle nostre esperienze personali pregresse, magari rimescolando ricordi ed esperienze che in passato hanno fatto male. Quindi è normale che il tutto agisca su di noi e risuoni.

Sergio Castellitto: Questo film però non angoscia, o almeno non penso lo faccia. L’elemento fondante del film è una certa amarezza. Ma è un film anche incazzato, che muove una grande energia. Questi due protagonisti si chiedono tutta la sera: perché? E il finale che abbiamo fatto, lo abbiamo fatto per rafforzare questo sentimento, questo pensiero. Ancora hanno voglia di stare alla finestra e guardare la nuca di quello che hanno amato che si allontana. E lui lo sa, tant’è che si volta e la frega.

Nessuno si salva da solo sarà in sala dal 5 marzo. Di seguito, una gallery con alcuni scatti dalla conferenza stampa.

 

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