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The Visit: Recensione in anteprima del docu-film di Michael Madsen

the-visit-michael-madsen-recensioneNoi umani ci siamo sin dagli albori considerati il fulcro dell’universo, tuttavia non possiamo fare a meno di considerare la possibilità che esista un’altra forma di vita senziente nello Spazio. Questo ha dato adito a molto congetture e il tema dell’extraterrestre ha sempre influenzato la produzione artistica, tra cui ovviamente il cinema, con la fantascienza, genere che rappresentando scenari plausibili di incontri con alieni, riesce se ben adoperato a far riflettere sul nostro mondo e sui nostri tempi.

Il regista danese Michael Madsen è l’ennesimo autore deciso a sperimentare con questo genere. Esperto documentarista, Madsen ha scritto e diretto nell’ultimo anno The Visit, film che vacillando tra fiction e documentario ricostruisce la simulazione di un possibile atterraggio alieno sul nostro pianeta. Presentato al Sundance Film Festival 2015, in concorso per il Gran Premio della Giuria, The Visit ricrea il definitivo incontro ravvicinato del terzo tipo, soffermandosi però sul dietro le quinte delle azioni di cariche politiche e istituzionali nel tentativo di gestire l’evento.

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Riunendo scienziati, psicologi e importanti cariche tra cui l’ex direttore dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari dello spazio extra-atmosferico Mazlan Othman e il membro della Camera dei lord inglese Michael Boyce, Madsen ci parla dell’alieno senza mostrarlo direttamente. Pur arrivando a far dialogare i diversi protagonisti, interpreti di loro stessi, con queste forme di vita extraterrestri, il regista, anche autore del film, mantiene il tutto su un livello umano. Madsen non sembra tanto interessato a lasciarsi cavalcare dalla fantasia nella creazione di un’originale creatura aliena quanto alla reazione che noi terrestri potremmo avere in un contesto simile.

A rendere affascinante il racconto del cineasta è proprio questo imprescindibile atteggiamento antropocentrico che sembriamo impossibilitati a levarci di dosso. The Visit segue l’iter più classico che si potrebbe immaginare: le autorità vengono a conoscenza dell’atterraggio di un velivolo alieno, si operano per mandare uno scienziato ad analizzarlo, le autorità pensano a cosa svelare alla popolazione senza scatenare un’epidemia di panico e allo stesso tempo l’esercito si mobilita in caso gli “ospiti” fossero ostili. Prendono forma le grandi contraddizioni della nostra specie: curiosi come siamo di scoprire ma al contempo impauriti da ciò che è diverso da noi; nella nostra ricerca non esploriamo l’ignoto per conoscerlo come è, ma per dargli un significato, un attributo umano, soggiogandolo alle nostre leggi e alla nostra comprensione.

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Le lunghe inquadrature fatte di silenzi, di simmetrie, di forme geometriche, spesso circolari, rimandano a questa velleità di rinchiudere ciò che ci circonda in un sistema che veda comunque la specie umana come bussola dell’universo; si tratta di inquadrature perlopiù distaccate, che alienano lo spettatore, il quale si trova alternativamente o al contempo nel doppio ruolo di uomo/alieno. Parlando direttamente alla macchina da presa, nell’atto di interrogare gli extraterrestri, i protagonisti del film si rivolgono spesso direttamente a noi oltre lo schermo. Siamo noi gli alieni? Ed effettivamente, così come nel titolo viene sottolineata la difficoltà nel definire cosa sia un essere umano, come dovremmo definire un alieno? Quando gli Europei arrivarono in America, si chiesero se i nativi fossero o meno umani, e solo dopo averli studiati si convinsero che quegli individui potevano essere definiti tali; uomini che hanno ottenuto questo riconoscimento solo perché concessogli da altri uomini. E così, come abbiamo deciso che c’è vita solo in presenza di DNA, noi tutti ci definiamo umani perché condividiamo alcune caratteristiche, quasi senza renderci conto dell’inesorabile alienazione reciproca dilagante, in un mondo la cui tecnologia rende la comunicazione più immediata solo in facciata e in cui il diverso da noi è sempre e comunque qualcuno da temere o da guardare con diffidenza.

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Michael Madsen non arriva dunque con una risposta, ma piuttosto offrendoci uno stimolo a riflettere sulla nostra umanità, passando per un ipotetico alieno che sembriamo non riuscire a vedere. Eppure, negli ultimi minuti della pellicola, che si andrà poi a chiudere Space Oddity, brano di David Bowie scaturito da un sentimento di alienazione, è come se trasparisse una sensazione di solitudine e tristezza in quell’individuo che per un attimo ha ammirato l’ignoto apprezzandone l’essenza pur non comprendendola e ora si appresta a tornare dai suoi simili per spiegare loro qualcosa che probabilmente non accetteranno semplicemente perché non potranno mai capirla.

The Visit di Michael Madsen sarà presentato in anteprima italiana al Biografilm Festival 2015, che si terrà a Bologna dal 5 al 15 giugno.

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