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Sinister – Recensione del film

In molti hanno etichettato il movie Sinister, come l’ultimo successo della casa Blumhouse Pictures di Jason Blum il quale budget davvero basso ha reso molto alti gli utili ricevuti finora. Ma com’è Sinister?

Sembra evidente capire dunque che la Blumhouse abbia trovato una gallina dalle uova d’oro. Ma se questo pensate possa essere solo un punto a favore, sbagliate di grosso, tutto questo pesa sul livello qualitativo che, a eccezione dell’ultimo Paranormal Activity, questa volta non è affatto trascurabile.

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Molte volte può accadere esattamente il contrario, creare un bellissimo film con abbastanza effetti speciali da far accorrere gente al cinema, per poi perdersi in una storia, nemmeno banale, ma forse fin troppo scorrevole e scarna, proprio com’è successo con Upside Down, per carità.

Eppure, la Blumhouse ha già creato un marchio di fabbrica vincente che non si basa solo ed esclusivamente sulla capacità di comunicare “viralmente” l’arrivo di un’opera e di riuscire a recuperare in brevissimo tempo i pochi soldi spesi e a guadagnarne molti di più. Ed è già subito sequel!

Per chi ama davvero il mondo del cinema horror è in attesa de Le Streghe di Salem, nuovo lavoro di Rob Zombie, prodotto anch’esso da Blum e in arrivo il 18 aprile in Italia, generalmente accolto con favore critico in quegli eventi come il Toronto Film Festival o il Festival di Torino dove è già stato proiettato.

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Dopo aver ottenuto il successo grazie alla pubblicazione di un libro relativo a un fatto di cronaca nera, Ellison Oswalt è progressivamente caduto nell’anonimato. Decide quindi di trasferirsi con l’intera famiglia a King County per indagare sulla tragica impiccagione di un’intera famiglia, a eccezione della figlia più piccola, misteriosamente scomparsa. La casa comprata dallo scrittore è proprio la stessa dove è avvenuto l’efferato omicidio. Dopo aver trovato una serie di filmini che testimoniano la tragedia e altri terribili crimini, Ellison capisce di avere tra le mani il materiale perfetto per un nuovo romanzo e comincia a investigare. Tuttavia, le sue indagini risveglieranno una divinità pagana di nome Bughuul che entrerà nella sua vita e in quella della sua famiglia trascinando tutti in una spirale di inquietudine e terrore.

Nei cinema e sul web sta impazzando un ottimo trailer di Sinister, tutti gli spot-tv virali e non hanno i crismi del film dell’orrore ben riuscito. Punto a favore del film è il protagonista, davvero ottimamente interpretato da un Ethan Hawke capace di meritarsi il premio come uno dei peggiori padri cinematografici di sempre, quanto dallo spettatore. Quando guardiamo il suo Ellison Oswalt che non riesce a trattenersi dall’esaminare nel buio della notte le tragiche e truculenti morti dei malcapitati protagonisti dei filmini in Super 8 che ritrova nella soffitta della casa fresca di affitto – ognuno di essi etichettato con un nome innocuo che in realtà presagisce il destino dei protagonisti – pare quasi di sentire la voce del regista che, ironico e retorico, ci domanda “Allora, sei pronto a giudicare facilmente questo poveraccio preso a calci dalla vita, ma tu non stai forse facendo altrettanto?”. Sinister, pur non aggiungendo nulla di particolarmente innovativo o drastico al genere riesce, proprio se non addirittura in misura maggiore rispetto all’Esorcismo di Emily Rose, a esercitare uno strano, irresistibile (malsano?) magnetismo nei confronti dell’audience. Lo spettatore guarda, critica il protagonista – e di rimando sé stesso – ma proprio come lui non può esimersi dal continuare a osservare. Curiosamente. Morbosamente. E come potrete constatare vedendo il lungometraggio, Derrickson si permette anche di rimarcare questo procedimento d’immedesimazione e catarsi con un paio di soluzioni visive davvero interessanti.

Ethan_Hawke_Sinister[1]

Già questo basterebbe a elevare Sinister al di sopra dei “film di paura” ordinari e dozzinali. A ciò va poi aggiunto, come elemento tutt’altro che marginale o accessorio, il perfetto accompagnamento sonoro elaborato da Christopher Young – già collaboratore di Derrickson per Emily Rose. “Scrivere di musica è come ballare di architettura” disse una volta Elvis Costello.

In conclusione possiamo quindi dire che Scott Derrickson aveva tra le mani un potenziale fuoriclasse che però ha fiaccato pompandolo troppo di soluzioni gratuite e scontate. Rimane comunque un titolo interessante che si trova diverse spanne al di sopra della stragrande maggioranza delle produzioni “supernatural” attuali. Da vedere nonostante tutto.

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