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Livide – la Recensione

livide recensioneL’obiettivo dei recenti film horror? Farvi saltare sulla sedia, ma non solo, farvi andare in bagno in piena notte con tutte le luci accese tremando come se foste nella steppa siberiana. Questo si deve all’overdose di paranormale (vedi anche accozzaglia) che ormai è l’ingrediente principale degli horror. Francamente non mi attirano, di solito.

Eppure ho deciso di vedere Livide diretto da Alexandre Bustillo e Julien Maury un po’ perchè incuriosita di capire cosa c’entrasse la danza classica, un po’ perchè amo le Creepy House, le grandi case vecchie, scricchiolanti gotiche in cui sicuramente non entrerei mai da sola. Se non altro perchè dentro magari uno non ci trova i fantasmi ma ci trova i vampiri (no, non stiamo parlando di Edward Cullen o di Damon Salvatore) quelli poco affascinanti e molto arrabbiati.

Dunque la protagonista di Livide è Lucie (Chloé Coulloud) giovane infermiera che sta effettuando un tirocinio con la signora Wilson (Catherine Jacob) presso le persone anziane, una in particolare: Madame Jessel (Maire-Claude Pietragalla) che in un tempo remoto insegnava danza classica. Jessel è in un letto da anni ormai, in coma, in una grande villa di campagna spettrale; sua figlia Anna è scomparsa ormai da tantissimo tempo e pare, è la signora Wilson a raccontarlo, che nella casa si nasconda un tesoro. Lucie che fa? Corre a dire tutto al suo fidanzato William che decide, coinvolgendo l’amico Ben, di compiere una spedizione nella casa nella notte di Halloween per trovare il suddetto tesoro. Naturalmente troveranno ben altro dagli animali impagliati, a quelli meccanici che si muovono da soli, a delle efferate ballerine di danza classica. Il tutto sfocia prevedibilmente nel sangue. Lucie scopre il segreto di Jessel: Anna non è scomparsa, la mammina iperprotettiva ha pensato a tutto pur di non far fuggire quella sua figlia “particolare”.

Un film tiepido con diverse lacune. Il dualismo lo percorre per intero partendo da Lucie affetta da eterocromia (un occhio di un colore uno di un altro) simbolo della presenza di due anime dentro questa ragazza che si scopre simile ad Anna, le due madri quella di Anna fin troppo presente e quella di Lucie morta suicida, Ben e William il primo una vittima ideale l’altro animato da avidità molto affine al vampirismo.

Ottima la fotografia (Laurent Barès), musiche dissonanti, stonate con il contesto un palese nonchè mancato rimando ad Argento. Scadente la sceneggiatura lasciata al caso, sfilacciata, con flashback slegati, a tratti incongruente con un finale positivo-fiabesco fuori luogo. C’è un certo autocompiacimento nell’efferato, nell’abuso delle armi bianche, nell’ammiccamento ai film degli anni 70.

Direi un cinque su dieci, se non fosse stato per le mancanze della sceneggiatura sarebbe anche potuto essere un buon horror.

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